Lisetta Carmi è scomparsa a 98 anni. Con lei se ne va un pezzo di storia della fotografia. Ciao Lisetta!
«Una sconcezza, signorina, un libro davvero sconcio!», così rispondono i commessi delle librerie di Milano alla richiesta di Lisetta Carmi di sfogliare quel libro che tenevano nascosto dietro il bancone, per non urtare la sensibilità dei clienti. È il 1972 eppure sembra che le istanze mosse in quel periodo di radicale rottura col passato, in particolar modo quelle legate ai movimenti di emancipazione femminile e sessuale, abbiano agito solo sulla superficie del tessuto sociale. Lisetta Carmi inizia a lavorare sul tema del travestitismo già qualche anno prima, nel 1965, quando per la prima volta viene a contatto con un gruppo di travestiti. Carmi rimane colpita dalla condizione di queste persone e decide dì esplorare questo mondo, per conoscerlo e, di riflesso, per comprendere meglio se stessa. Quello che le interessa è il travestitismo come questione sociale, cioè come effetto tangibile dell’esclusione e della violenza esercitata da una società che ragiona ancora attraverso rigide categorie. I travestiti, infatti, si pongono al di sopra di questo ordine imposto, e superano il concetto di ruolo sociale a favore di quello più inclusivo di persona, di essere umano. In una delle interviste che aprono il libro, un ragazzo racconta che i travestiti sono sempre esistiti, ma la società continua a respingerli trattandoli come fossero ladri o assassini. Se sono quindi obbligati a cambiarsi è perché è la società a non voler cambiare. La prospettiva del lavoro di Lisetta Carmi non è quindi tanto quella di raccontare l’accettazione di uno stato – l’essere, appunto, travestiti – quanto piuttosto mostrare il rifiuto di un ruolo imposto dall’esterno. Per questo motivo quando, dopo una travagliata vicenda editoriale, il libro è finalmente pubblicato, le librerie cercano di far passare in sordina il volume, nascondendolo dalle vetrine e dagli scaffali più esposti. Il lavoro desta scandalo perché costringe a mettere in discussione stupidì pregiudizi.