L’identità costituisce da sempre il punto cardine della nostra personalità. Intorno ad essa sviluppiamo modalità psico-comportamentali come il carattere, le attitudini, in buona sostanza tutto quello che ci inquadra come “esseri finiti e animali sociali”.
Cosa succede invece quando, per mezzo dello strumento fotografico, questa sicurezza esistenziale viene messa in discussione o persino distrutta?

I volti perdono di significato, l’espressività degli occhi appare romanticamente demonizzata e le persone diventano archetipi di un’inquietante umanità. I fotomontaggi di Weronika Gesicka, contenuti nel progetto Traces (2015-2017), nascono dalla volontà di destrutturare il panorama terrestre per estenderlo al limite della science-fiction. Appropriandosi di vecchie fotografie di famiglia, provenienti da magazine pubblicitari o addirittura da archivi probatori della polizia statunitense, entrambi datati 1950-60, l’artista polacca irrompe nelle loro dinamiche figurative per sviscerarne il racconto.

Un’intromissione visiva e contemporaneamente fisica che non sottende la ricerca dell’esattezza circostanziale di questi scatti orfani d’autore, bensì ne accentua l’ambivalenza interpretativa. Come un chirurgo cibernetico Gesicka plasma i protagonisti di conturbanti siparietti tradizionali in funzione di un’invettiva contro l’annientamento identitario e l’omologazione patriarcale. Con un bisturi digitale moltiplica le facce, distorce i corpi per poi fonderli con oggetti di uso comune, eseguendo così un’esasperata operazione di trasfigurazione della fotografia vernacolare.