Nella serie OMIAI♡, ideata nel 2001 dall’artista giapponese Tomoko Sawada, lo spettro celebrativo intrinseco al medium fotografico e la complessità dei legami umani si fondono in un travolgente climax visivo. Senza il minimo indugio l’autrice dichiara, com’è possibile evincere dal titolo del progetto, di voler esplorare la tradizione nipponica dei “miai”. Un surrogato conservatore dei matrimoni combinati, pensato appositamente dai genitori di ragazze ancora nubili, che ruota intorno alla metodica esibizione di un libro fotografico.

Serie “OMIAI♡”, 2001
In buona sostanza, con questo feticcio cerimoniale, vengono esibite le qualità estetiche e comportamentali delle giovani donne nella speranza di trovare loro il consorte perfetto.
Partendo quindi da un filosofico rifiuto della legge famigliare la fotografa (tutt’ora immune al sacro vincolo del matrimonio) adopera la sua individualità per tramutarsi nel simbolo del libero arbitrio femminile. Secondo Tomoko il desiderio tossico di appartenere alla normalità statistica e l’elaborazione concettuale di un autoritratto coincidono e vengono mostrati qui come fenomenologicamente affini. Pertanto, il bisogno atavico di esplorare l’autodeterminazione sociale e la volontà di attuare un processo di de-sublimazione relazionale la conducono nello studio fotografico di uno sconosciuto.

Serie “OMIAI♡”, 2001
Davanti all’impersonalità di quell’obiettivo, trucco, parrucche, sistematici cambi d’abito, espressioni ermetiche e realistiche oscillazioni di peso animano un’esilarante caricatura culturale. Ed è proprio in uno spazio sospeso, dominato dall’incertezza, che la sua figura diventa allora un catalizzatore esperienziale, abile a mettere in scena una schietta idiosincrasia performativa e restituire alla donna la libertà di innamorarsi.