Dal 23 marzo al 22 maggio 2022 la Triennale di Milano presenta il percorso espositivo Barbara Probst. Poesia e verità. L’artista tedesca ha già esposto in numerose realtà museali di prestigio internazionale come il MoMA a New York, la Tate a Londra, Le Bal a Parigi. Inoltre, le sue opere sono presenti nelle collezioni di diversi musei e gallerie. Tra queste, a Milano è rappresentata dalla galleria Monica De Cardenas, che, insieme alla galleria Kuckei and Kuckei di Berlino, ha supportato e contribuito alla realizzazione dell’allestimento. La mostra – il cui titolo riprende quello dell’autobiografia di Goethe Dichtung und Wahrheit – propone un percorso attraverso immagini realizzate in momenti diversi della sua carriera.
Probst, con le sue Exposures numerate, ci permette di esplorare e padroneggiare il concetto spaziale, mentre quello temporale viene congelato in un solo istante, che risulta dilatato. Attraverso la sua tecnica fotografica, basata sull’utilizzo simultaneo di più fotocamere che riprendono angolazioni differenti e opposte, l’artista vuole mostrarci cosa accadrebbe se potessimo osservare un’immagine dai più svariati punti di vista.

Mentre seguo il percorso allestito, mi soffermo sui dettagli, che posso osservare dal vivo, in grande formato. Ripenso alle iconiche scene di combattimento dei film Matrix. Non è un caso forse che l’idea della prima Exposure sia stata concepita dall’artista nel 1999, stesso anno in cui è uscito il primo film delle sorelle Wachowski. Tralasciando i collegamenti fantascientifici, il lavoro di Barbara Probst ha il potere di confonderci, farci sentire smarriti, ma al contempo di coinvolgerci nella situazione, come se entrassimo realmente a far parte delle sue performance fotografiche, nel suo particolarissimo hic et nunc. Il suo approccio è sperimentale, cinematografico, ma anche puramente grafico. I suoi lavori includono riferimenti al dinamismo statuario delle arti classiche, pur rimanendo fedeli alla realtà contemporanea. Per questo il suo stile, apparentemente ossimorico, ben s’inserisce in più generi fotografici, dal ritratto, all’architettura, alla moda. In occasione della sua prima mostra personale in un’istituzione culturale italiana, ho avuto il piacere di intervistare Barbara Probst, che ci ha così rivelato qualche behind-the-scenes del suo lavoro.
Quali sono gli elementi che consideri fondamentali nel tuo linguaggio fotografico?
Nel mio lavoro cerco di guardare tutti gli aspetti che appartengono al cosiddetto sistema della fotografia: la relazione tra la camera e il fotografo, tra l’osservatore e l’immagine fotografica, tra l’immagine e la realtà che essa rappresenta. La fotografia è un mezzo davvero influente e potente nella nostra società; pertanto, a me interessa soprattutto guardare ad esso in maniera analitica, e – oserei dire- quasi scettica.

Dove ti trovavi quando hai scattato Exposure #1? Da dove è nata questa idea, che è poi divenuta la tua cifra stilistica?
Nel 1999 ho avuto per la prima volta l’idea di fotografare simultaneamente una scena utilizzando diverse fotocamere, e diverse inquadrature. Lo scopo era quello di generare molteplici immagini provenienti tuttavia da un solo e unico istante. Volevo scoprire come queste immagini potessero legarsi tra loro, e se dalla loro unione sarebbe nata armonia oppure un conflitto.
I tuoi soggetti sono spesso personaggi ricorrenti, talvolta modelle, talvolta amici, ma soprattutto te stessa. Quanto conta per te la pianificazione di tutti i dettagli? Anche la spontaneità ha un ruolo nei tuoi progetti?
In questo senso sono molto metodica, mi affascina il concetto di serialità e ripetizione: lavoro sempre con gli stessi modelli, luoghi e spesso anche vestiti e gesti. Non sono troppo interessata da ciò che fotografo, ma sono ossessionata dai molti modi in cui possiamo vedere le cose, dalla variabilità dei punti di vista. Per sua natura, il sistema che utilizzo, l’allestimento di fotocamere multiple, non mi permette di lavorare spontaneamente. Perché io ottenga un buon risultato tutto deve essere pianificato nei dettagli, tuttavia sono molto attratta dalle coincidenze, così come dagli errori.

Courtesy the artist and Galleria Monica De Cardenas
All’interno della mostra Poesia e Verità, sono rimasta colpita da Exposure #72. L’ho trovata molto concettuale. Puoi rivelarmi cosa rappresenta per te, e in generale, questa sequenza?
Exposure #72 è un’opera molto costruita e studiata. La scena è stata realizzata nel mio studio, dove ho cercato di riprodurre quattro punti di vista, tutti estremamente discrepanti e conflittuali. Avevo la necessità di rendere visibile quanto la percezione di uno stesso soggetto nel medesimo momento può risultare contraddittoria e soggettiva. Ho accostato immagini in bianco e nero ad altre a colori e posizionato le fotocamere in angolazioni bizzarre rispetto alle modelle. Ho anche sfruttato una scultura in primo piano per creare una delle immagini.

Courtesy of the artist and Galleria Monica De Cardenas
Uno dei tuoi autoritratti, Exposure #9, è stato scattato fuori dalla Grand Central Station di New York. Come hai reso possibile il tuo lavoro in quella situazione e in altre ambientazioni simili?
Quando scatto per strada solitamente ho un’assistente per ogni camera. Devo dire che a New York la gente è così abituata agli shooting per strada da non preoccuparsi o interessarsi più di tanto, così noi possiamo lavorare indisturbati anche nel traffico più intenso!
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