Quando si parla di Cina si viene pervasi da sentimenti contrastanti, generati dall’attrazione verso qualcosa ancora non del tutto svelato. Senza dubbio la Cina di oggi rappresenta una delle grandi potenze mondiali, in grado di decidere le sorti dell’economia globale. Infinita, antica, moderna e super contemporanea, impossibile non confrontarsi con essa. Il passato e la sua storia non possono essere oggetto di semplificazioni, se non cadendo nello stereotipo.

Il MAO, Museo d’arte Orientale di Torino, accoglie fino al 2 ottobre 2022 la mostra fotografica 稍息 Riposo! Cina 1981-84. Fotografie di Andrea Cavazzuti, curata da Davide Quadrio e Stefania Stafutti in collaborazione con l’istituto Confucio dell’Università di Torino. Il percorso espositivo, pensato come dialogo con alcune opere delle collezioni museali, raccoglie oltre 70 immagini bianco e nero scattate in Cina fra il 1981 e il 1984, che accompagnano l’osservatore alla scoperta di una Cina inedita. A completamento della mostra, come ulteriori approfondimenti, è prevista la proiezione di tre film:
Nati a Pechino, di Olivo Barbieri, Andrea Cavazzuti e Daria Menozzi, 1995, italiano, 21′: un breve ritratto di alcuni artisti nella Pechino dei primi anni Novanta, che poi sarebbero diventati le star dell’arte contemporanea cinese.

Bambini (Fictional Kids), di Andrea Cavazzuti, 2000, 27′: un montaggio di scene di strada coi bambini come protagonisti in varie parti della Cina durante gli anni Novanta, accompagnato dalle colonne sonore di famosissimi film occidentali del secolo scorso.
The Warehouse, titolo originale 臆想仓库, di Andrea Cavazzuti, 2018, cinese sottotitolato in italiano, 28′: video realizzato per la mostra omonima, curata da Lu Yue 卢悦 e Da Shi 大石, tenutasi al CHAO di Pechino nel 2018. Responsabile artistico Yang Jun 杨君. Un gruppo di artisti, perlopiù giovani, si è cimentato nel creare opere per un grande magazzino dei pensieri e delle fantasie più recondite.
Andrea Cavazzuti è un fotografo che vive e lavora in Cina da più di trent’anni, il titolo della mostra è 稍息, che tradotto in italiano vuol dire riposo. La scelta di questa parola è strettamente legata al senso profondo che si cela dietro alle immagini; la volontà di raccontare, attraverso ricerca artistica caratterizzata da una forte identità personale, aspetti e sfumature di un paese immenso e variegato. Una riflessione dell’artista ci aiuta a comprendere meglio il suo lavoro di ricerca: «In Occidente l’immaginario visivo della Cina era, come un po’ ancora oggi, quello del già defunto Mao e della già conclusa Rivoluzione Culturale. Figlio dei miei tempi e allenato com’ero a cercare oltre gli stereotipi anche in patria, fotografavo una Cina non vista e, quel che è peggio, nemmeno immaginata, quindi invisibile. Le cose già viste soddisfano, consolano, hanno a che fare con la memoria mentre il non visto è secco, scostante, refrattario, a volte antipatico. La Cina mi si presentava come uno straordinario bazar di oggetti, scene e comportamenti non omologati tra i nostri cliché culturali. Per me era irresistibile: gli oggetti in vista, la totale mancanza di privacy, le attività umane messe in scena su un palcoscenico sempre aperto, il paradiso del fotografo».