Giorgio Galimberti ha una visione del mondo fortemente concentrata sugli effetti della luce sui corpi e sugli ambienti urbani. Qualche tempo fa, si è trovato nel bel mezzo di una enorme processione di religiosi peruviani e non ha potuto fare a meno di documentarla con la sua macchina fotografica. Oggi su Black Camera ci racconta il retroscena dell’episodio.
Chi ti conosce è abituato ad apprezzare i tuoi scatti urbani e le tue immagini di street photography. Come ti sei trovato a fotografare una processione religiosa peruviana?
Per pura casualità. Mi trovavo a Milano, ero andato a vedere una mostra al Museo del Novecento. All’improvviso ho notato che piazza del Duomo era transennata e si riempiva rapidamente di persone: stava accadendo qualcosa di importante, così sono sceso in mezzo alla folla, ho esibito il tesserino press e sono entrato nel cuore dell’evento. Mi sono reso conto che si trattava della processione del Señor de los milagros, la più importante di tutta la tradizione peruviana, e ho cominciato a scattare.

Cosa ti ha colpito di più?
I volti delle persone, così diversi tra loro, mi hanno subito ricordato gli scatti di Ferdinando Scianna, quelli dedicati alle processioni siciliane con i partecipanti vestiti con abiti tradizionali. Ho cominciato a fotografare e ho lavorato immerso nella scena, quasi addosso alle persone, concentrandomi sulle loro espressioni. Il risultato è un lavoro collocato in un’epoca indefinita, anacronistica e priva di ogni collocazione temporale. Il luogo della processione è visibile e riconoscibile, si vede chiaramente il Duomo, ma non è esplicitato perché non è ciò che mi interessa. La scelta cromatica è utile per lasciare uno spazio di interpretazione a chi osserva le fotografie: il colore è più descrittivo, mentre il bianco e nero così contrastato toglie elementi dalle immagini, le rende essenziali ed esalta le emozioni.
Il progetto è stato molto apprezzato dalla comunità peruviana che vive in Italia. Che riscontri hai avuto?
Sono stato chiamato dal consolato peruviano a Milano, che ha voluto sostenermi per produrre e organizzare una mostra nella sua sede. Il giorno dell’inaugurazione è stato emozionante: c’erano tutti i soggetti che avevo ritratto durante la processione che si guardavano nelle foto o che riconoscevano un cugino, uno zio, un amico… Negli ultimi tempi sono stato contattato da alcuni esponenti delle istituzioni peruviane, che mi hanno chiamato per realizzare nuovi scatti in diverse processioni in giro per l’Italia.

È stato difficile cimentarsi in un reportage del genere?
Non sono un reporter e non lo sono mai stato, quindi ho cercato di sviluppare questo progetto mantenendo il mio stile, la mia firma estetica e metafisica. Ho semplicemente raccontato quello che ho visto e che mi ha emozionato, la mia interpretazione del reale. Cimentarmi in questo nuovo genere fotografico mi ha aperto gli orizzonti, mi ha fatto capire che la sperimentazione è un elemento di forte crescita professionale e personale. Reportage e fotografia metafisica dialogano bene tra loro, riescono creare un ritmo molto dinamico ed esaltano il timbro personale del fotografo. La mia fotografia non è una traduzione letterale della realtà, è piuttosto una parafrasi soggettiva del mondo che ho davanti.
