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    Guida completa a Fotografia Europea 2023

    Al via, fino all’11 giugno, la XVIII edizione di FOTOGRAFIA EUROPEA, con il focus Europe Matters. Visioni di un’identità inquieta.

    Frammenti eterogenei. Una carrellata di flash visivi che si susseguono secondo ritmi diversificati, a volte veloci come delle immagini che collidono tra di loro, che comunicano nella loro opposizione, a volte, invece, lenti, di una velocità naturale come il respiro, come il tempo che un fotografo si prende per immortalare il viso del suo soggetto e contemporaneamente la storia di vita che porta con sé.

    In FOTOGRAFIA EUROPEA 2023 sono tante le storie di vita che si susseguono, a volte veloci a volte lente, tante quante sono le anime di un’Europa che combatte per la sua identità eterogenea ed unica e forse unica proprio perché eterogenea, rivelando le sue lotte intestine per arrivare a tale unicità. È un’edizione illuminante la XVIII del festival emiliano, Europe Matters. Visioni di un’identità inquieta. Nella sua semplicità, illuminante e, in parte, anche militante. A cominciare da un allestimento all’insegna dell’essenzialità: uno stato grezzo, come nel caso dei Chiostri di San Pietro, che entra in dialogo con l’idea stessa del festival, un perenne stato di costruzione, di cantiere, per un continente e per la sua identità umana e politica.

    Così le travi a vista o il calcestruzzo non uniformato illuminano e danno corpo ai ritratti di Yelena Yemchuk, personalmente, la vincitrice di questo festival, se proprio se ne vuole stilare una classifica, tralasciando il fatto che questo festival è pieno di vincitori. Ma lei, la sua Odesa, ha un qualcosa in più, sarà forse il tema della guerra, sarà forse la partecipazione della fotografa alla sua storia, ma il modo di omaggiare la città di Odessa di Yelena Yemchuck non lascia indifferenti, con i suoi ritratti così intrisi di pietà, e sentimento, ma allo stesso tempo anche di un realismo che cristallizza il sangue nelle vene. In Odesa Yelena racconta della sua storia personale, della sua Odessa, carica di ricordi, aspettative infantili, di giardini assolati, ma anche di una pressante attualità, fatta di tensioni belliche, di ragazzi con l’elmetto o il cappello della divisa militare, di un costante senso di precarietà e della malinconia di un mare d’inverno. 


    Nel suo insieme FOTOGRAFIA EUROPEA 2023 è una polifonia di voci uniformemente chiare, forti, resistenti, ma se ci si avvicina ad ognuna di loro con l’orecchio ben teso si può scorgere la lotta personale di ognuna, le inflessioni mutevoli per trovare un proprio tono, un proprio ritmo identitario. Una voce che cavalca la forza della protesta e della lotta militante è sicuramente quella del progetto You will never walk alone ad opera di The Archive of Public Protest. Non c’è solo la documentazione della protesta fatta di voci e corpi, di striscioni e slogan, di gesti diventati simbolo e di colori indossati come manifestazione della propria identità e lotta, ma la protesta è l’archivio stesso, l’uso che un archivio può svolgere tra le pieghe di una realtà che alle immagini sta dando più importanza nella loro quantità che nel loro significato. Quindi è anche ora di fermarsi e dare il giusto nome alle cose e la giusta lettura alle immagini nella loro specificità, solo così una fotografia potrà riappropriarsi dell’urto impattante del gesto e dell’azione militante.

    E poi c’è il racconto dell’esperienza collettiva di Simon Roberts, il suo modo puntuale di racchiudere in un progetto il senso pubblico dell’identità nazionale, della condivisione di un evento, della presenza del singolo che crea la comunità.

    © Simon Roberts

    Nel suo caso è l’Inghilterra, l’essere inglese, il focus della mostra Merrie Albion & The Brexit Lexicon, la partecipazione, “l’esserci” ad un sentimento collettivo che rende parte della storia di una nazione.

    © Yelena Yemchuk

    Se ai Chiostri di San Pietro progetti come Güle Güle di Valentina Piccinni e Jean Marc Caimi e De la mer à la terre di Cédrine Scheiding raccontano dell’identità europea tramite i suoi punti di rottura, secondo uno stile che parte dalla fotografia documentaristica per evolversi in immaginari sicuramente più soggettivi e autoriali, ai Chiostri di san Domenico la narrazione di Europe Matters assume spoglie più concettuali e quasi performative. Dal punto di vista allestitivo, infatti, la sede si anima di una veste che pone al centro del tutto, oltre al contenuto della mostra, anche lo sguardo dello spettatore su di essa, il suo modo di fruirne, che aggiunge significato al contenuto dei progetti.

    © Caimi – Piccinni

    Se per Nelle giornate chiare si vede Europa Myriam Meloni si avvale dell’utilizzo del trittico per esaltare la coralità della sua voce e del suo progetto che congiunge l’Europa all’Africa, adagiando sopra al ritratto una carta velina che lo spettatore può scoprire o meno, Mattia Balsamini e Camilla de Maffei giocano, il primo, con un’esplosione allestitiva tra supporti e grandezze differenti delle immagini, la seconda, con una circolarità di sguardo che riporta alla mente il panopticon, un carcere ideale progettato permettendo ad un unico sorvegliante di osservare tutti coloro che vi sono reclusi senza consentire loro di capire il controllo esercitato dal sorvegliante.

    © Myriam Meloni

    Nello specifico caso di Camilla de Maffei, con Grande Padre, questo mettersi al centro della sala da parte dello spettatore per fruire al meglio del suo lavoro, seguendo le sue immagini in maniera circolare, vuole rincorrere quell’idea di sorvegliare e punire di cui il suo progetto è intriso. Il Grande Padre racconta, infatti, degli anni della dittatura in Albania di Enver Hoxha, una dittatura altamente repressiva e feroce, che durò dal 1945 al 1991. Il regime di Hoxha esercitava un controllo assoluto sulla popolazione, con un sistema di sorveglianza capillare ed efficientissimo che si insinuava nella vita pubblica e privata. Mentre le interviste alla popolazione albanese, esposte su cornice come le immagini, raccontano di un passato di violenze e repressioni subite, le fotografie si soffermano, invece, sui dettagli di un’Albania contemporanea, cicatrici di un incidente fortemente e violentemente impattante anche sulla società di adesso. Con un occhio attento alle singole immagini, molti sono i rimandi visivi a lavori fotografici della fine degli anni Sessanta che hanno documentato e denunciato i maltrattamenti e la repressione perpetrata dall’istituzione psichiatrica negli ospedali psichiatrici. Non è un caso.

    © Camilla De Maffei

    Una mostra di documentazione performativa, curiosa e divertente, invece è quella di Roberto Masotti, You tourned the tables on me, esposta a Spazio Gerra. Roberto, già fotografo e grande appassionato di musica, trova e acquista nel 1974 un piccolo tavolino di ferro, in un campo rom nella periferia milanese, e decide di compiere, portandoselo sotto braccio, un viaggio in giro per l’Europa a fotografare i musicisti contemporanei più importanti. È un tour di otto anni il suo, per 115 ritratti, usando il suo amico tavolino come oggetto catalizzatore, come simbolo su cui il soggetto doveva basare la sua interpretazione, la sua performance.

    © Roberto Masotti

    Palazzo dei Musei invece accoglie sia la grande mostra di Luigi Ghirri e compagni Un piede nell’Eden sia la decima edizione di Giovane Fotografia Italiana – Premio Luigi Ghirri 2023 con il tema Belonging. Un piede nell’Eden è un’attenta e interessante indagine visiva sugli spazi verdi degli anni Ottanta, sulla progettazione delle aree pubbliche, sulle visioni che reinseriscono la natura come elemento importante del paesaggio. C’è Ghirri, con Colazione sull’erba e altre sue immagini della metà degli anni Ottanta, ci sono coloro che spesso l’hanno seguito, in quegli stessi anni, per mettere a punto una nuova estetica del paesaggio italiano come Olivo Barbieri, Giovanni Chiaramonte, Joan Foncuberta, Mimmo Jodice, Gianni Leone e molti altri, e poi l’esposizione offre una piccola grande chicca del panorama visivo: gli studi e il materiale prodotto da Cesare Leonardi e Franca Stagi per la pubblicazione de L’Architettura degli Alberi del 1982. Un libro che rappresenta un approfondito atlante per comprendere la struttura degli alberi. La particolarità di questa sezione di Un piede nell’Eden è che dà la possibilità allo spettatore di comprendere i singoli passaggi del processo di ricerca che hanno portato alla realizzazione dell’opera: dai sopralluoghi alle annotazioni, dalla produzione delle fotografie a quella dei disegni. Un vero viaggio nell’allora rinnovata passione per la natura paesaggistica.

    © Luigi Ghirri

    Infine, la Giovane Fotografia Italiana con i suoi sette finalisti che hanno riflettuto attorno al tema comune dell’appartenenza, Belonging: Eleonora Agostini con A Study on Waitressing; Andrea Camiolo con The Manhattan Project; Sofiya Chotyrbok con Home Before Dark; Davide Degano con Romanzo Meticcio; Carlo Lombardi con La Carne dell’Orso; Giulia Mangione con The fall; Eleonora Paciullo con Teofanie.  Come vincitrice del Premio Ghirri è stata premiata Giulia Mangione con un progetto, The fall, che racconta dei miti popolari attorno al tema dell’Apocalisse e alle teorie del complotto e di come l’appartenenza ad una comunità o a un culto religioso possa far sentire le persone più sicure e protette. Sono immagini suggestive quelle di Giulia, che trasmettono lungo tutto il suo progetto un sentimento di sospensione e di tensione.

    Un altro progetto che fa leva sulla dimensione evocativa è La Carne dell’Orso di Carlo Lombardi, lavoro che pone l’accento sul rapporto tra uomo e natura, in particolar modo sulle ingerenze da parte dell’uomo su di essa con l’apparente intento di proteggerla. Sicuramente uno dei lavori più fortemente attuali e urgenti dell’intero festival. 
Un’edizione fortemente d’impatto quella del 2023 di FOTOGRAFIA EUROPEA. Molte voci, molte storie, molte visioni, molte anche divisive tra di loro, e tanta urgenza nel comunicarle. In un dibattito intorno all’Unione Europea che si fa giorno dopo giorno più tumultuoso e fremente, animato da questioni apicali come la guerra e l’immigrazione, FOTOGRAFIA EUROPEA non poteva rendere meglio la complessità dei giorni nostri.

    © Mattia Balsamini

    FOTOGRAFIA EUROPEA 2023 – 
XVIII EDIZIONE
    fino all’11 giugno
    sedi varie

    FOTOGRAFIA EUROPEA

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