Harald Hauswald si trasferì a Berlino dalla sua terra natia, la Sassonia, vicino a Dresda, nel 1977. Berlino Est divenne la sua casa e anche, contemporaneamente, il soggetto prediletto delle sue fotografie. La vita nella Repubblica Democratica Tedesca (RDT) appare, tramite le sue immagini in bianco e nero, strabordante di contraddizioni, complessità e tensioni politiche e civili, intrisa di quella storia che ha squarciato corpi di pelle e ossa, ma anche quello simbolico di un’intera nazione divisa da un muro e spartita in due, a tavolino, tra i vincitori della partita bellica.
Le fotografie di Hauswald rivelavano talmente profondamente e realisticamente le voragini di quella società dell’est città che la Stasi, la polizia segreta della Germania dell’Est, raccolse su di lui un fascicolo di oltre 1300 pagine nell’arco di oltre venti anni, dal 28 febbraio 1977 fino al 5 ottobre 1989, solo poche settimane prima che il Muro di Berlino fosse abbattuto. Per la consuetudine ad occuparsi dei suoi movimenti, della sua vita e soprattutto di ciò che fotografava gli fu attribuito il nome in codice di “Radfahrer” (ciclista). Ora, quelle immagini – censurate, in quegli anni, dalla Stasi perché “anti-socialiste e decadenti” – unitamente a una parte degli innumerevoli files su di lui redatti dalla polizia segreta sono esposti, a mo’ di monumento politico, presso l’Amerika Haus di Berlino, sede dello spazio espositivo C/O Berlin, fino al 21 aprile.

HARALD HAUSWALD. Voll das Leben!. Reloaded – a cura di Felix Hoffmann in collaborazione con Ute Mahler and Laura Benz – appare sia come monumento politico, un monito a non dimenticare, ma anche come manifesto, come un qualcosa che può parlare alla contemporaneità e alla storia che viene intessuta ora.
Ad aprire la mostra – il cui libro/catalogo è stato pubblicato da Steidl – la gigantografia della scheda di Harald Hauswald, per la Stasi “il ciclista”, corredata di “foto segnaletica” e delle sue caratteristiche corporee come altezza, colore degli occhi, carnagione e forma della testa (ovale). Come un indice di un libro questo semplice pannello introduce sinteticamente a quello che verrà dopo, a ciò che sarà mostrato dopo, all’ambiente e al contesto storico che Hauswald era solito documentare con piglio umanamente e politicamente critico, alla tensione e al grado di repressione che la popolazione viveva costantemente, in quegli anni, a Berlino Est. Rivivendo la fine degli anni Settanta sulla carta, con la possibilità di leggere la storia direttamente alla fonte, le pareti delle due stanze a seguire sono state puntellate da centinaia e centinaia di quei documenti, fotografie e protocolli segreti con cui il Ministero della Sicurezza di Stato mise insieme il corposo fascicolo sul fotografo tedesco, non limitandosi solo ad “osservarlo”, ma intervenendo, anche, con incursioni nel suo appartamento per sottrargli libri e materiale fotografico. Hauswald era a tutti gli effetti il più grande observed obsterver di tutta la Germania dell’Est.
L’insoddisfazione, la miseria, la contestazione, ma anche un immaginario visivo che sembrava risucchiare la popolazione come tanti ostaggi, soprattutto l’innocenza infantile, emergono dalle fotografie di Harald Hauswald, a volte con rabbia, con la stessa violenza con cui erano vissute sulla pelle, a volte riuscendo a trovare anche delle tracce di ironia e di tenerezza. Tra le fotografie esposte si incontrano, infatti, spesso le messe in scena della guerra ad opera di bambini: chi impugna pistole mimando la sicurezza adulta e chi si finge morto attorniato da amici che lo guardano da spettatori o anche chi è calato dentro a carrarmati giocattolo in una battaglia a propria misura.
Gli uomini, i bambini, gli edifici, i paesaggi emergono come le rovine di una civiltà, come sopravvissuti ad un’esplosione che si è fatta strada non solo tra i palazzi divelti, ma anche nelle menti delle persone, dell’intera popolazione. E l’esplosione di guerra, mostrata nelle macerie che ha creato, è rappresentata da Hauswald secondo diverse angolature, prospettive, dando voce a quella realtà poliedrica che la tensione e la violenza aveva creato e stava creando. La miseria, l’incertezza e una profonda sensazione di solitudine sono solo parte del ricco ventaglio visivo che il fotografo tedesco immortalò a Berlino Est da fine anni Settanta agli anni Novanta e oltre. Infatti tra le sue immagini ha un posto molto rilevante anche la testimonianza di quella “controcultura” che trovò la sua sussistenza come espressione alternativa, come reazione al sistema oppressivo sovietico, come moto vitale verso la ricostruzione e la ripartenza.

Hauswald fotografò spesso la potenza della massa come simbolo di ribellione e di presenza alternativa di protesta: i concerti, ad esempio, nella freneticità e istintualità dei corpi, nella forza della massa, nei volti di chi canta la propria convinzione, nella gioia dell’incontro; le manifestazioni, anche, nelle sincopate battaglie urbane contro la polizia, nelle distese umane che si spargevano a macchia d’olio nella città, nella forza delle braccia alzate, nel sangue riversato a terra. Ma la vita della Repubblica Democratica Tedesca aveva anche il volto dei militari in divisa, dei dettagli dei loro guanti bianchi schierati in fila perfettamente e rigorosamente, delle cariche della polizia con le divise antisommossa, della presenza militare che sorvegliava e puniva la vita quotidiana tra le rovine della città. C’è un po’ tutto l’umano e politico possibile nella narrazione che Hauswald fa di quella Germania dell’est, anche i muri scrostati e le insegne dei vecchi negozi, oltre che le scritte della ribellione sugli edifici e l’espressione verbale della voglia del cambiamento. “Wut” (furia) compare, a caratteri neri, su una superfice sbiadita di un palazzo, mentre un bambino corre a braccia aperte verso qualcosa o qualcuno, forse il futuro.

E poi arrivò anche il momento in cui la Porta di Brandeburgo fu riaperta, il 22 dicembre 1989, diventando il simbolo della nuova Berlino riunita e Harald Hauswald era lì a documentarne il momento e l’importanza storica. Come per l’intero suo lavoro, tramite cui riuscì a raccontare la complessità e la poliedricità del momento storico, Hauswald, anche in questo caso, immortalò le due facce della stessa medaglia: la corsa concitata e speranzosa della popolazione, la loro gioia, la dinamicità dei loro corpi, in opposizione alla staticità e al rigore decaduto dei militari in uniforme, che come quei bambini attorno al loro amico che inscenava la morte potevano stare solo a guardare da spettatori.
HARALD HAUSWALD. Voll das Leben!. Reloaded
C/O Berlin
Amerika Haus
Hardenbergstraße 22–24, 10623 Berlin
fino al 21 Aprile
dal lunedì alla domenica
dalle 11 alle 20
info@co-berlin.org
www.co-berlin.org
HARALD HAUSWALD. Voll das Leben! (catalogo)
a cura di Felix Hoffmann
Pubblicato da Steidl
408 pagine, 280 immagini
Copertina rigida
24×30 cm
Lingua: Inglese/Tedesco
€ 45
www.steidl.de