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    «La ricerca artistica è un atto meditativo in continua evoluzione»

    Lo dice Alfredo Bernasconi, fotografo professionista con oltre 30 anni di esperienza, che si approccia al mezzo fotografico con assoluta libertà. Lo abbiamo intervistato

    Alfredo Bernasconi, fotografo professionista con oltre 30 anni di esperienza, si approccia al mezzo fotografico con assoluta libertà. La sua ricerca, articolata e ampia, lo porta alla creazione di immagini che sfuggono dalle regole del reale per entrare in una dimensione quasi onirica e surreale. Lo abbiamo intervistato.

    © Alfredo Bernasconi

    Ciao Alfredo, andando indietro nel tempo, ti ricordi quando e come è nata la tua passione per la fotografia?
    La mia prima macchina è stata, a dodici anni, una Zeiss Ikon Voigtlander a telemetro. Adoravo il profumo di cuoio della custodia, ero al mare, fotografavo sedie sdraio e ombrelloni, mia madre voleva fotografassi zii e cugini, ma non è mai successo. A dire il vero, non so se ho mai nutrito una passione per la fotografia ma ora, dopo un bel po’ di tempo, posso dire di sentire un affetto profondo. Ho sofferto per lei, nei momenti in cui il lavoro non “girava”, ma ho anche lavorato tanto e con grandi soddisfazioni. Per anni non ho pensato a qualcosa di personale per le mie produzioni, ero più intento a mantenere gli affetti umani, amori, amicizie, prole, poi qualcosa si è infilato nel mio spirito facendomi dedicare, fin dalla fine degli anni Novanta, ad altro, rispetto al solo lavoro di fotografo. Questo spiritello ha preso sempre più corpo, ho provato ad immaginare la mia vita senza fotografia, mi sono chiesto cosa fosse realmente, ho cercato di approfondire quella che credo sia la mia visione, Ma non riesco ad andare e stare lontano da lei. Forse questo è amore? Ora dedico molto tempo ed energie a quella che si definisce “ricerca”, io preferisco pensare che sia un atto meditativo in continua evoluzione.

    Il tuo lavoro si snoda tra la fotografia commerciale e quella più artistica. Cosa differenzia le due dal punto di vista stilistico, contenutistico, etc.?
    Da tempo la mia partecipazione al mondo commerciale è diminuita, ho avuto una sorta di rifiuto a causa di certi meccanismi in cui non mi sono più riconosciuto. O meglio, probabilmente, è sempre stato così, ma ne ho preso coscienza col tempo. Mi sono reso conto che la mia semantica, il mio modo di esprimermi non era sulle stesse lunghezze d’onda altrui. Pochi fotografi riescono o sono riusciti a coniugare l’aspetto commerciale con una visione più libera e personale del proprio prodotto. In ogni caso, oggi è molto difficile, penso, trovare dei committenti che pensino ad altro che non sia “prodotto”, almeno per quel che ne so io. Faccio un esempio: ho conosciuto anni addietro, dei fotografi di National Geographic, in particolare uno che riprendeva balene in immersione, aveva a disposizione mesi di preparazione e attuazione del lavoro, appostamenti, studi, senza limiti di budget, di materiali di consumo ma soprattutto di tempo e spazio. Non so se ciò sarebbe ancora possibile. Ecco, il tempo era un valore, il tempo di realizzazione, pensiamo solo all’editing e agli sviluppi delle pellicole, spesso Kodachrome, che per noi sudeuropei significava spedire tutto in Svizzera aspettando che poi tutto tornasse sviluppato nei famosi telaietti di cartone. C’erano molta pazienza e trepidazione al contempo, ma che qualità! Nel quotidiano, portare i film allo sviluppo, attendere i test di prova, fare le correzioni, guardare bene che non ci fossero dominanti cromatiche, potevano capitare delle partite fallate, magari perché erano state sotto il sole o al gelo nei porti di destinazione. Era tutta un’attesa e spesso una sorpresa. Ma i tempi erano rispettati. Oggi mi reputo una persona privilegiata, grazie anche a persone che mi stanno accanto, posso gestire sia il mio lato commerciale che “artistico” con una certa calma.

    © Alfredo Bernasconi

    Come si sviluppa il tuo processo creativo? E quando capisci che una foto è pronta?
    Credo che lo scrivere con la luce sia un atto importante nel momento in cui hai qualcosa da dire, non mi fossilizzo su un linguaggio o una tecnica specifica, cerco totale libertà. La fotografia digitale può donarne molta di libertà e può liberare da schemi. Penso alle parole di Ando Gilardi di elogio sulle allora nuove tecniche. Io amo fotografare più volte la stessa immagine, vedo il risultato immediatamente e non è mai lo stesso ovviamente. La vera difficoltà è la scelta, ma se si è liberi si comprende anche che forse la fotografia è un’espressione vicina alla musica: puoi cambiare il vestito con arrangiamenti ed esecuzioni diverse, ma una brutta canzone o melodia non si salva comunque.

    Come racconteresti la tua fotografia a chi non la conosce?
    Questa è una cosa che mi riesce malissimo. Posso solo dire che tutto il mio operato si riferisce a un unico concetto, che è quello del passaggio dell’esistere e dei segni che questo produce. Scie, segni di luce, impronte. É così difficile spiegare ciò che si produce quando non sono oggetti palpabili, non provengo da un mondo critico e accademico, dove è doveroso l’eloquio sui contenuti del proprio lavoro anche in termini di riferimenti culturali, purtroppo non mi sono allenato a farlo, mi rendo conto che è forse un limite.

    © Alfredo Bernasconi

    Quali sono i tuoi riferimenti fotografici, culturali?
    Un fotografo che amo molto è August Sander, ha disegnato una società in un periodo di enormi cambiamenti, con discrezione, umiltà, senso della composizione, riconoscibilissimo
    immediatamente dalla luce e dagli sguardi dei soggetti ripresi. Il teatro di Tadeusz Kantor mi ha abbagliato quando ero poco più che adolescente, ma anche il teatro in generale, penso a Beckett o Brecht. E da poco è scomparso Ezio Frigerio, scenografo immenso che lavorò molto con Strehler, alcuni suoi allestimenti sono per me indimenticabili.
    Corelli e Bach, geni assoluti di composizione mi portano in un altro mondo. Dei contemporanei mi piace molto il lavoro di Guido Guidi, di Massimiliano Tommaso Rezza, e in genere di quei fotografi che seguono una rigorosa ricerca filologica, Forse perché sono così diversi da me. Forse perché sono così diversi da me. Non faccio parte di una corrente, per cui anche nelle scelte mi sento libero.

    Progetti futuri?
    Mi piacerebbe cominciare a fare conoscere meglio quello che ho fatto in questi anni di “solitudine”, ultimamente ho in programma di fare dei ritratti che mi sono stati commissionati da un organismo che mi ha dato carta bianca, anche questa è fortuna…meritata? Fose sí.

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    Manuelaannamaria Accinno
    Laureata in Storia e critica dell’arte alll’Università Statale di Milano, amante dell’arte in tutte le sue forme, riserva un occhio speciale alla fotografia. Lavora con alcuni artisti contemporanei, scrivendo testi critici e curando esposizioni personali e collettive. Ha collaborato con Rolling Stone Italia e attualmente scrive per Black Camera.

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