I coinugi Albers cominciano a frequentare il Messico a partire dal 1935, incuriositi da un paese molto diverso dagli Stati Uniti. I loro innumerevoli viaggi nel paese centroamericano non sono una ricerca di elementi esotici o bizzarri, piuttosto un’indagine sulle tracce delle antiche civiltà precolombiane e delle testimonianze di vita quotidiana di una popolazione povera, vitale e ricca di tradizioni.

Albers è un fotografo non professionista che ha lo sguardo dell’architetto, come si nota dal grande senso della composizione e dalla ricerca delle geometrie che scova anche tra reperti millenari. Le fotografie pubblicate nel libro di Humboldt sono inedite in Italia e ci aiutano ad approfondire la figura di uno dei più grandi innovatori delle arti e della cultura novecentesca, che ancora oggi ha molto da insegnare. Il volume è arricchito da unʼintroduzione di Brenda Danilowitz, curatrice capo della Josef and Anni Albers Foundation, e da un saggio di Luca Galofaro, professore e curatore, che abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa in più sul libro.
Partiamo da un primo punto fondamentale: Josef Albers non era un fotografo professionista. Da dove nasce la scelta di questa pubblicazione incentrata sul sulla sua produzione fotografica?
È vero, non era un fotografo di professione, proprio per questa ragione ho trovato interessante vedere come ha usato la fotografia per raccontare le sue esperienze. Questa, in particolare, nasce come un viaggio in macchina dalla East Coast degli Stati Uniti fino al Messico: un tragitto della durata un mese, un itinerario percorso più volte nel corso della sua vita. È stato curioso osservare come il lavoro e le fotografie scattate sotto forma di ‘album di famgilia’ oggi siano diventate uno strumento fondamentale per capire come funzionava l’immaginazione di Albers. Non si tratta solo un racconto dei luoghi, non è una documentazione, bensì una riflessione sui dettagli, sugli aspetti del quotidiano, sulle sfumature di una cultura unica al mondo.
Messico 1935/1946 – Josef Albers, Humboldt Books
Il libro si apre con una lettera ai Kandinskij, inviata dai coinugi Albers nel 1936. Da dove arriva questa scelta?
Tra i tanti documenti recuperati, abbiamo selezionato lettera degli Albers ai Kandinskij, perché questo frammento di corrispondenza conteneva un elemento fondamentale. In questo scritto, Albers dichiarava che «il Messico è davvero la terra promessa per l’arte astratta». Ecco, abbiamo pensato che, dopo aver letto questa frase, le fotografie contenute nel libro si riescano a guardare in modo diverso.
Com’è stato lavorare a questo progetto? C’è stata molta ricerca?
È stato bello e stimolante, perché ognuno ci ha messo del suo. Abbiamo potuto lavorare con la curatrice della Fondazione Albers, Brenda Danilowitz, che si è dimostrata molto interessata e ha dato un grande aiuto nella realizzazione del progetto. Con Humboldt poi è stato interessante tutto il lavoro di studio, precisione e attenzione, soprattutto nei dettagli. Prendiamo ad esempio la copertina: la scelta del colore non è casuale e non è dettata da un semplice gusto estetico, ma si riferisce a un punto specifico dell’Interazione del colore di Albers.

Questo libro fa parte di una collana più ampia dedicata al tema del viaggio. Qual è la sua peculiarità?
Sì, una collana che ci fornisce un punto di vista completamente diverso dei fotografi e degli artisti che siamo abituati a conoscere per altri progetti o per altri approcci. Per esempio ci sono delle pubblicazioni dedicate ai viaggi di Gabriele Basilico in Marocco e in Iran oppure la splendida ricerca di Carlo Mollino in Giappone. La collana di Humboldt racconta del viaggio e dell’osservazione attraverso album privati, molto intimi, che appartengono a un altro momento storico e quindi si portano dentro un altro sguardo, nel caso di Albers quello “preistorico” della fotografia che va ben oltre la documentazione.