Qualche giorno fa, all’interno di un dibattito sul fotografo Boris Eldagsen che ha rifiutato il premio SWPA perché la sua immagine era stata generata da IA, ho sentito una persona dire che «Le immagini AI sono immagini che non esistono, mentre le fotografie sono immagini di vita vera, che esistono».
Volevo strapparmi i capelli giuro.
Ultimamente ci sono numerose persone che si stanno agitando per le azioni che l’intelligenza artificiale sta mettendo in pratica in relazione alla creazione di immagini.
C’è una folta schiera di fotografi, il cui totem è rappresentato dalla raffigurazione di un gigantesco fotoamatore impallinato di tecnica a cui nulla può fregare se non il tipo di macchina con cui scatti, che sta assumendo comportamenti sempre più somiglianti a un nuovo luddismo, soltanto che questa volta l’obiettivo della crociata non sono le innovazioni industriali, bensì quelle prodotte dall’intelligenza artificiale.
Molti hanno paura che gli venga tolto qualcosa, che l’intelligenza artificiale vada a sostituire le loro fotografie (che di per sé non sarebbe neanche una notizia negativa, viste certe robacce che girano e che vengono spacciate per grande fotografia) o che gli fotta il lavoro, oppure che le immagini prodotte dal grande mostro artificiale raccontino storie inesistenti e possano quindi modificare irreversibilmente la percezione del reale. Mi viene da dire che se un produttore di immagini ha paura di farsi surclassare da un software, allora dovrebbe rivedere la propria capacità progettuale, che forse è costruita su presupposti molto fragili. Mi rendo conto però che dare la colpa a qualcun altro e scagliarsi contro la macchina infernale sia spesso una via più semplice rispetto all’auto-analisi.
Mi preme ricordare, senza pretese di entrare troppo nel merito di tecnicismi, che le immagini create con il computer esistono da tanto, tanto tempo. L’unica grande differenza è che adesso le IA le rendono disponibili anche a chi non è capace di programmare. È sufficiente saper scrivere un prompt appoggiandosi a qualche software facilmente reperibile online.E a chi dice che le immagini realizzate con IA inquinano la realtà e mistificano le informazioni, faccio sommessamente notare che, tenetevi forte, la fotografia è stata portatrice del germe della menzogna e dell’ambiguità fin dai suoi albori (Daguerre e Bayard vi dicono qualcosa?) e che le manipolazioni visive esistono da sempre. Fin dalle fotografie di Roger Fenton della guerra di Crimea nel 1854 ci si rese conto dello straordinario potere manipolatore e propagandistico delle immagini. Son passati giusto giusto 170 anni da allora, non è una novità della settimana scorsa. Oggi vediamo lo stesso meccanismo messo in atto, che semplicemente si propone con forme e sviluppi diversi.
Ora, dopo questo sfogo condito da un po’ di gratuita arroganza, cerco di concludere questa invettiva con un pensiero che possa essere, almeno in parte, costruttivo. Non è certo da oggi che si parla di post-fotografia. È da anni che è sono in corso profonde riflessioni sulla fotografia e sulle evoluzioni delle immagini, nonostante questo c’è chi sente ardere dentro di sé un fuoco conservatore che lo rende allergico al cambiamento che, va detto, è inesorabile.
C’era gente che assumeva comportamenti ostili, gridando alla morte della scrittura, verso Gutenberg, quando regalò all’umanità l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
C’erano folle di disperati che avevano già fatto il funerale al cinema, quando nelle case entrarono le televisioni.
E, per tornare a noi, c’era gente disperata che urlava, profetica e apocalittica, alla morte della fotografia anche quando una cinquantina di anni fa si cominciò a palesare la fotografia digitale.
Non mi pare che abbiamo smesso di scrivere, guardare film e scattare fotografie.
E allora ben venga l’intelligenza artificiale applicata al mondo della fotografia. Impariamo a maneggiarla e dotiamoci di strumenti critici adeguati, invece che provare inutilmente a distruggerla.