L’operazione di “rovesciare i propri occhi” dell’artista torinese Giuseppe Penone si propone di riscrivere la canonica relazione tra autore, soggetto e spettatore. Qui lo spazio esterno al fotografo viene presentato come il solo detentore del monopolio rappresentativo sulla scena. Perciò il volto dello stesso Penone, il cui funzionamento espressivo delle terminazioni visive viene annullato dall’utilizzo di lenti a contatto riflettenti, segna su pellicola un preciso confine operativo.

L’argine metafisico oltre il quale la “presenza” viene declassata a mero elemento di congiunzione: il corpo – in questo caso una porzione di esso, ovvero gli occhi – conferisce centralità al lato nascosto dell’immagine, al suo opposto, nonché alla sua dinamica attuativa. Si tratta dunque di una privazione corporale necessaria a invertire il ruolo dello spettatore e della persona raffigurata. Di conseguenza la metodologia della cecità di Penone, che oltretutto sottende un devoto atto di fede nei confronti del potere narrativo del medium, diventa oggetto di un’osservazione posteriore dove l’artista è artefice dello scatto e, allo stesso tempo, suo illibato consumatore. Pertanto, nel contesto della performance art, fotografia e manifestazioni comportamentali si uniscono in un amplesso iconoclasta. Si direbbe un’inseminazione figurativa che vede, nell’istante del suo compimento, la registrazione meccanica come esclusivamente subordinata all’azione. Ma, non appena dichiarato il raggiungimento del relativo climax, ecco che i ruoli si alterano e l’immagine prodotta diventa l’unico documento visivo in grado di certificarne l’effettiva esecuzione. Allora, sulla base di questo parallelismo normativo, è forse più opportuno definire il capovolgimento strutturale evidenziato da Giuseppe Penone come una sorta di gioco della dominazione percettiva, in cui la compenetrazione sovrastrutturale dei sensi antropici costituisce il presupposto pionieristico per l’ideazione una nuova dimensione ricettiva del prodotto fotografico.

I risultati di questa azione performativa, ovvero sequenze di diapositive e singoli frame, sono presenti nella mostra Reversing the eye. Una rassegna itinerante – partita da Parigi nell’autunno del 2022, prima allestita tra le Jeu de Paume e Le Bal, e adesso visibile integralmente presso le sale espositive della Triennale di Milano fino al 3 settembre – che mette insieme i più grandi rappresentati dell’arte povera della seconda metà del Novecento, raccontandone le conquiste iconografiche.