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    «Mi auguro che l’espressione artistica possa sempre indicarci la via maestra»

    Lo dice Fabio Castelli, fondatore e direttore del MIA Photo Fair, fiera internazionale dedicata alla fotografia che sta per aprire la sua undicesima edizione. Lo abbiamo intervistato

    Fabio Castelli, una delle personalità più influenti del mondo della fotografia italiana, è il fondatore e il direttore del MIA Photo Fair, la fiera internazionale dedicata alla fotografia. La sua storia professionale, e personale, ci offre uno sguardo più ampio sul mondo dell’arte. Lo abbiamo intervistato.

    Fabio Castelli ph. Angela Lo Priore

    Dottor Castelli, la sua storia abbraccia arte e imprenditoria, due mondi non così distanti. Eppure, ogni qualvolta si voglia parlare di arte in termini economici, le parole vengono bisbigliate, quasi come se a pronunciarle ad alta voce si andasse ad intaccare, in maniera negativa, un’opera d’arte. Come mai?
    Il fatto di non voler parlare di denaro in funzione dell’arte è un vecchio retaggio, politico e culturale, che ci arriva dagli anni Sessanta e Settanta, quando un certo sistema intellettuale si ostinava a non voler comprendere che il mercato facesse parte del sistema dell’arte. Oggi mantenere ancora questa posizione, obsoleta e superata, vuol dire non comprendere assolutamente la realtà. Riconoscere l’importanza del mercato per un artista non vuol dire sottomettersi e adeguarsi a esigenze puramente mercantili ma semplicemente riconoscere alle capacità di un artista un giusto compenso. Questo corrisponde al valore delle opere e dell’artista, valore che viene stabilito da un sistema complesso costituito dalle capacità espressive dell’artista, dalla sua storia e cultura, dai riconoscimenti critici e da ogni altro parametro che storicizzi il suo percorso creativo. A volte ci possono essere speculazioni mercantili attuate da operatori senza scrupoli, ma questi fenomeni purtroppo accadono in ogni campo dell’agire sociale. Il valore di un artista – trattandosi di giudizi non facili e dipendenti da tante variabili storico-critiche − non è necessariamente legato al suo successo commerciale ma quest’ultimo non inficia la necessità di dover applicare un riconoscimento economico alla produzione di un artista.

    Lei ha creato, e dirige, il MIA Photo fair, una delle fiere internazionali più importanti dedicate alla fotografia. Che impatto ha avuto il MIA sul panorama fotografico italiano?
    L’impatto maggiore che il Mia ha avuto sul panorama fotografico italiano, è stato proprio nell’aspetto educativo dell’arte fotografica. Il grande cambiamento che abbiamo rilevato, durante tutti gli anni della fiera, è stato il diverso interesse del pubblico nei confronti della fotografia. Durante le primissime edizioni le domande dei visitatori rivolte ad artisti, galleristi, erano di tipo tecnico: «Come hai fatto a realizzare questo?», «Che macchina hai utilizzato?», mentre adesso la curiosità del fruitore si è spostata sulla progettualità e sul valore creativo e intellettuale dell’immagine. Questa evoluzione è stata possibile grazie al diverso approccio del mezzo fotografico; non più solo come racconto pedissequo della realtà, ma medium che consente una riflessione più ampia e intima sull’uomo e sul mondo. Il Mia Photo Fair sin dall’inizio, attraverso le sue manifestazioni e la scelta dei propri espositori, si è posto come ponte di comunicazione tra il pubblico, molto articolato tra appassionati e collezionisti, e il mondo della fotografia. Crediamo di aver dato, in tutti questi anni, il nostro piccolo contributo all’evoluzione culturale del pubblico nei confronti dell’immagine fotografica.

    Nel nostro paese l’assenza di investimenti e agevolazioni fiscali all’interno del settore culturale crea non poche difficoltà. Quali sono i problemi maggiori che deve affrontare chi lavora, e investe, in questo settore? Possibili soluzioni?
    A livello istituzionale, anche se ultimamente le cose stanno migliorando, il nostro paese ha sempre dimostrato scarso interesse nei confronti del mondo dell’arte non soltanto da un punto di vista generale burocratico-amministrativo ma soprattutto, per quanto riguarda in particolare la fotografia, da un punto di vista della comprensione culturale. Sotto questo aspetto scontiamo enormi ritardi da parte delle Istituzioni nella comprensione e valorizzazione dei nostri artisti. Dal punto di vista della gestione amministrativa la prima operazione che si dovrebbe attuare, per aiutare gli operatori a far fronte alla concorrenza, è la rimodulazione dell’aliquota IVA ai livelli degli altri paesi europei. Il calo dell’IVA, se inserito in un programma più ampio di riforme, migliorerebbe in maniera virtuosa il nostro sistema culturale, incoraggiando gli acquisti e gli investimenti: lo Stato, in questo modo, potrebbe finalmente sostenere l’attività creativa degli artisti, come, per esempio, avviene in Germania o Francia. Altro nodo da sciogliere è una riforma scolastica che dia dignità all’insegnamento della storia dell’arte e della fotografia, con programmi che guardino non solo al passato ma anche alla contemporaneità. A livello internazionale potrebbe essere utile creare maggiore cooperazione tra i vari paesi e intese con i diversi ministeri della cultura che possano favorire la diffusione dei nostri autori all’estero. Tutti questi strumenti, se applicati in maniera decisa ed oculata, oltre che ad apportare vantaggi economici possono davvero migliorare il pensiero critico e la ricerca artistica.

    Jean-Baptiste-Camille Corot (Parigi, 1796 – 1875), Le jardin d’Orace, 1855, cliché-verre, cm 38×30,9

    Nella sua vita ha collezionato molto e in maniera diversificata. Quale significato assume per Lei collezionare opere d’arte?
    Collezionare opere d’arte, per me, significa intraprendere un percorso di conoscenza. Questo viaggio, estremamente appassionante, all’inizio viene generato anche dal desiderio del possesso per poi evolversi a un contesto critico e culturale più ampio. Lo stimolo a collezionare induce ad aumentare le proprie conoscenze, anche per non commettere errori marchiani. Credo fortemente che la mia passione per l’arte fosse insita nel mio DNA, e che ad un certo punto abbia deciso di farsi sentire. Il mio percorso di studi, prima liceo scientifico e successivamente laurea in economia e commercio, non comprendeva materie artistiche; in questo ha sopperito la mia storia familiare. Il mio incontro con il collezionismo inizia a 20 anni, quando conobbi un’artista contemporaneo e iniziai a comprare sue opere; da quel momento ogni acquisto, ogni opera, era un mezzo che mi permetteva di arricchirmi di una conoscenza specifica. Nonostante il mio interesse per il contemporaneo, che andava dalla scultura alla pittura, passando per la grafica, ad un certo punto, ho avvertito l’esigenza di avvicinarmi alle origini dell’arte, arricchendo così la mia raccolta di maestri assoluti quali: Dürer, Rembrandt, Picasso, Miró, e incunaboli del 1400/1500. Questa strada mi ha permesso di approfondire, non solo gli autori, ma anche le tecniche dell’arte portandomi a scoprire mondi diversi oltre quello esclusivamente occidentale. Avvicinandomi alla xilografia, per esempio, sono arrivato al fantastico universo della xilografia giapponese, terreno culturale che ha formato grandi autori come Hokusai e Utamaro, per citarne solo alcuni. Attraverso poi la scuola di Barbizon, Corot e altri artisti di quel periodo e alla loro tecnica del Clichè verre, sono arrivato al collezionismo fotografico.

    Molti collezionisti, evitando la paura del rischio, si precludono la possibilità di esplorare nuove direzioni. A che punto è il collezionismo?
    Il mio approccio al collezionismo è sempre stato lontano dagli aspetti speculativi; non ho mai comprato un’opera d’arte considerando solo il suo valore economico. Oggi il comportamento di molti collezionisti è quello di comprare opere, tendenzialmente di artisti consolidati, aspettandosi un ritorno economico. Non c’è nulla di male in questo comportamento, ma ovviamente comporta un non rischiare, precludendosi nuove strade che potrebbero essere interessanti e penalizzando i giovani autori. Un approccio sicuramente più costruttivo sarebbe quello di partire da artisti affermati per arrivare poi alle nuove leve.

    Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 – 1528), San Gerolamo nella cella, 1514, incisione a bulino, cm 24×18,5.

    NFT e Crypto Arte stanno riscrivendo le regole della creatività. Cosa ne pensa delle odierne tendenze del mercato artistico?
    Per quanto mi riguarda siamo ancora ad un livello molto primitivo; speculazione pura, attualmente. Quello che si dovrebbe fare, per trasformare queste realtà in vere opportunità, è garantire la qualità di ciò che viene proposto. Questi nuovi strumenti, frutto dello sviluppo tecnologico, non devono passare come scorciatoie; se manca l’idea di base dell’opera d’arte, non è cambiando supporto che questa magicamente assuma dignità.

    Cosa vorrebbe vedere nel futuro dell’arte, e della fotografia in particolare?
    Io non distinguo più arte e fotografia, fanno parte dello stesso ambito espressivo anche se con mezzi differenti; si può, e si deve, considerare la fotografia al pari di qualsiasi altro linguaggio artistico. L’uomo è sempre stato accompagnato dal bisogno irrefrenabile di comunicare. Attraverso il linguaggio artistico, l’essere umano ha potuto documentare la sua esistenza e affermare il proprio io nella realtà che lo circondava, sin dalla preistoria. Questa necessità divenne più radicale quando sorsero le prime civiltà, e sempre di più nello scorrere dei secoli, dall’antica Grecia a Roma, dal Medioevo al Rinascimento, e dal Barocco ai giorni nostri. L’arte, con la sua capacità di mettere sempre in discussione le nostre certezze, è uno degli strumenti più potenti, se non per raggiungere il miglioramento dell’uomo e della società, quanto meno per indagarla e porre delle domande. Mi auguro che l’espressione artistica, in tutte le sue infinte forme, possa sempre indicarci la via maestra.

    SITO WEB

    MIA FAIR 2022 EDITION

    Manuelaannamaria Accinno
    Laureata in Storia e critica dell’arte alll’Università Statale di Milano, amante dell’arte in tutte le sue forme, riserva un occhio speciale alla fotografia. Lavora con alcuni artisti contemporanei, scrivendo testi critici e curando esposizioni personali e collettive. Ha collaborato con Rolling Stone Italia e attualmente scrive per Black Camera.

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