Certe immagini hanno il potere di scavarci dentro, sembrano travolgerci con la loro incontrollabilità emotiva fino a provocarci, nei casi più estremi, profonde lesioni sentimentali. Allora il nostro rigorosissimo Super-io mette in atto dei veri e propri meccanismi di difesa in grado di schermare la fragilità dell’Io intrapsichico e, di conseguenza, mitigare la sofferenza percepita. A dire il vero tutto ciò avviene con maggior semplicità quando ci rapportiamo a esse sulla base di una connessione empirica, quindi svincolata da qualsivoglia principio razionale; ma cosa accade quando, in questa equazione visiva, subentrano due dati universalmente comprensibili quali lo scorrere del tempo e l’immaginario famigliare?

Nicholas Nixon, fotografo di stampo reportagistico, dunque mosso da un forte interesse per la sfera umana, dimostra di essere intenzionato a ripercorrere tale invischiamento iconografico prendendo in analisi la famiglia di sua moglie Bebe. Con la raccolta The Brown Sisters, ideata nel 1975 e poi parzialmente conclusa con la prima pubblicazione di un libro nel 1999, l’autore struttura il suo racconto rimaneggiando la pratica del guardare teorizzata dal saggista francese Roland Barthes, secondo cui un’immagine deve essere prima di tutto considerata come un attestato di presenza. Pertanto è frammentando la metodologia ciclica e documentabile di un ritratto vernacolare che Nixon riesce a compire un puntuale studio sociologico. Nei quaranta scatti che compongono il progetto la stessa Bebe e le altre tre sorelle, Heather, Laurie e Mimi, mantengono sempre la stessa collocazione fisica, sono invece i loro corpi a presentarsi come cicatrici di un viaggio espressionista che di anno in anno colleziona sconvolgimenti interpersonali e affinità parentali. Ecco che il ritmo incalzante di primissimi piani, garbatamente composti, e di inquadrature private del loro contesto descrittivo entrano in contatto con il nostro universo interiore mettendone a nudo le complessità relazionali. Gli occhi di queste donne, resi vividamente tridimensionali dal grande formato della macchina fotografica utilizzata, ci attirano sul metaforico lettino di una seduta psicanalitica per forzarci a scandagliare la veridicità di ogni nostro legame intimo. In definitiva Nicholas Nixon delinea una nuova modalità di fruizione figurativa che rende accessibili in un’unica dimensione esistenziale nostalgia, perdono e amore reciproco.