«Mi rendo conto che, al di là di alcune buone immagini, le esigenze del mio progetto e la confusione sul suo significato mostrano complessivamente il desiderio di prendere la funzione della fotografia alla lettera. Fermare il tempo. Voglio che i miei genitori vivano per sempre.» Queste parole, intrise di melanconia, espresse dal fotografo americano Larry Sultan in relazione al lavoro autobiografico Pictures form Home (pubblicato nel 1992), seppur esplicitamente legate alla paralisi temporale delle immagini, spalancano le porte a una sintassi progettuale ben più complessa. Quasi fossero il bilancio analitico di un incubo cosciente esse si svincolano da ogni utopia di onnipotenza. E ci ricordano che per fornire un’interpretazione autoriale della vita è necessario, prima di tutto, comprovare una spiccata predisposizione alla vulnerabilità.

Di conseguenza i genitori di Sultan, Jean e Irving, vengono ritratti seguendo uno schema narrativo altalenante e altresì imprevedibile, fatto di vuoti e pieni vertiginosi, pause raggelanti e furiose liti coniugali. Insieme abbattono la mitologia reganinana della famiglia perfetta che in quegli anni martellava la morale dominabile del popolo americano.
Nella loro casa di Palm Springs i coniugi Sultan mettono dunque in scena, accompagnati dall’occhio onnipresente del figlio, il loro tramonto fisico e simultaneamente relazionale. Ed ecco che abiti ricercati, movenze esplicite e arredi sfarzosi collidono narrativamente con un ventaglio di espressioni spaesate, scollegate dalla realtà, andando così a dissacrarne l’iniziale apparenza patinata. Poiché, in fin dei conti, sulla base di una ricchezza ben più che materiale mostrata da Sultan, provare invidia è un abbaglio unicamente edonista.

In totale antitesi con gli scatti della serie Evidence, che un decennio più tardi hanno consacrato l’autore quale testimone intellettuale delle barbarità umane, qui l’utilizzo di una luce gentile, bilanciata da una palette cromaticamente leggera, trasfigura il concetto di memoria iconografica da asettico inventario probatorio a spassionata ode all’affettuosità. Pertanto, possiamo inquadrare la figura artistica di Larry Sultan come un fotografo di confine; un personaggio padrone del proprio ruolo creativo, capace di muoversi astutamente tra disfacimento sociale e intimità allegorica. Il suo racconto filiale fa da corredo a una sorta di terremoto emotivo, mai triviale, sempre legittimo. Ci arriva come una voce fuori dal coro in grado di utilizzare la fotografica per sbrogliare la matassa della quotidianità.