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    Per una corretta cementificazione del paesaggio italiano

    Nicola di Giorgio è il vincitore del Premio Graziadei per la Fotografia 2022 del MAXXI, con il suo lavoro 'Calcestruzzo', un progetto che si concentra sul paesaggio italiano. Lo abbiamo intervistato

    Il Premio Graziadei per la Fotografia 2022 del MAXXI, come ogni anno, declama il suo vincitore. Quest’anno ad animare le sale del Centro Archivi del Museo le immagini di Nicola Di Giorgio con il suo progetto Calcestruzzo, insieme a Blue Diamond di Rachele Maistrello, vincitrice dell’anno scorso. 
Il lavoro di Di Giorgio si concentra sul paesaggio italiano, su come, nel tempo, il calcestruzzo sia intervenuto per delinearne le forme e l’identità. Il suo sguardo è un continuo movimento tra medium e linguaggi diversificati, tra prospettive nazionali e paesaggi interiori di una Palermo filtrata da un personalissimo passato e presente. Lo abbiamo intervistato.

    Calcestruzzo (2020-in corso)© Nicola di Giorgio

    Il tuo lavoro Calcestruzzo è un progetto che utilizza più linguaggi e più dispositivi visivi (video, documentari, cartoline, foto d’archivio, le tue fotografie), come se fossero diversificate prospettive sul concetto di “cementificazione del paesaggio italiano”. Come nasce l’idea del progetto e come la diversificazione delle modalità di rappresentazione sostiene il tuo lavoro?

    Ogni volta che inizio a disegnare su un foglio da riciclo – in maniera del tutto casuale – segni, simboli, numeri, facce, parole e frasi, lo spazio predisposto dalla casualità si rivela sempre insufficiente. Il risultato finale però è molto simile: densità di elementi senza senso e disordine all’interno di un rettangolo. C’è una frase dell’antropologo Claude Lévi-Strauss che fa un ragionamento sul disordine: «Fin da quando ero bambino sono stato ossessionato, diciamo, dall’irrazionale, e ho cercato di trovare un ordine dietro a quello che ci appare come disordine.» 
Il linguaggio predominante in Calcestruzzo non è la fotografia, ma l’immagine contenuta all’interno della fotografia. La cartolina, per oltre un secolo, è stato uno strumento di diffusioni dell’immagine oltre che di appropriazione dell’immagine stessa. Il suo scopo originario era quello di far percepire al destinatario il proprio stare bene e associarlo ad un piccolo avvenimento della propria vita. Successivamente tutto è cambiato e le cartoline hanno perso sempre di più il contenuto descrittorio, sintetizzato in un saluto generico al destinatario. Le cartoline subiscono un’ulteriore trasformazione, all’incirca tra gli anni Cinquanta/Sessanta del XX secolo, non solo sulla scelta dei soggetti da raffigurare attraverso la vera fotografia, rinunciando sempre più spesso alle vedute paesaggistiche e ai monumenti simbolo delle civiltà passate, diventando solo un pretesto collezionistico che coinvolge adulti, ragazzi e bambini. Un modo, semplice, di custodire il mondo all’interno di una vecchia scatola di scarpe perfettamente su misura per una o due file di cartoline.
 Un immenso e inqualificabile numero di cartoline e di conseguenza d’immagini, oggi, risiedono così in mercatini e negozi dell’usato, in portali digitali di vendita o in ambienti archivistici. L’idea di Calcestruzzo nasce dall’urgenza di trovare un modo per far ordine all’interno di un argomento smisurato, ma secondo me fondamentale, per comprendere le urgenze del nostro paese oggi. 
Il combustibile capace di generare la mia ricerca è indubbiamente la curiosità, scommettendo sulla possibilità di non calcificare linguaggi già consolidati. In una delle prime fasi progettuali, consultando un manuale di costruzione sul calcestruzzo, la mia attenzione si è soffermata su un elemento, successivamente divenuto simbolo dell’italianità nel mondo delle costruzioni: la “pila”, una struttura verticale intermedia di sostegno all’impalcato. Compresa la potenza e la simbolicità dell’elemento, ho deciso di utilizzare il medium della scultura per redigere la mia pila, costituita da polvere di cemento, ferro e acqua, appropriandomi delle classiche tecniche edilizie.

    Calcestruzzo (2020-in corso)© Nicola di Giorgio

    Spesso le tue immagini si focalizzano su Palermo, sulla sua specifica cementificazione, mentre i materiali d’archivio come documentari e cartoline vanno ad indagare la trasformazione paesaggistica dell’intero paese. Perché questa differenziazione? 

    Sono nato il 18 giugno del 1994 a Palermo e nella mia stanzetta – con le pareti tinteggiate di un giallo tenue, in un condominio collocato in una nuova zona di espansione periferica con una toponomastica onorifica alle vittime di mafia – ho mosso i primi passi. Lì mi attendeva non solo la culla ma anche il tecnigrafo di mio padre, che sta tra lo zenit e il nadir delle cose che vivo ogni giorno. Quella stanzetta è stato un luogo di contemplazione, di scelte e di progettazione. Il primo mirino ottico con il quale mi sono, anche successivamente, confrontato è stata la finestra della mia stanza che includeva perfettamente la trasformazione della pianura palermitana denominata “Conca d’oro”. Era inevitabile, quindi, occuparmi del mio territorio, perché ne faccio parte. 
Calcestruzzo è una sintesi, contemplata a lungo, di quello che in realtà è un casellario inesauribile che accresce per accumulo di materiali trovati, donati e acquistati, accedendo al più popolare portale digitale: eBay. Pertanto i cosiddetti “materiali d’archivio” fanno parte di universi a me ignoti. 
L’accumulazione collezionistica persiste e coesiste come pratica artistica e di linguaggio, e mi offre l’immensa possibilità di tracciare un percorso temporale ed immaginifico del calcestruzzo. In sintesi Calcestruzzo è un passe-partout d’accesso per un indefinito numero di realtà esistiti. L’idea di perseguire, per diverso tempo, l’ossessione di accumulare materiali molto distanti tra loro nel grande tema del calcestruzzo, ha prodotto inevitabilmente la necessità di organizzare tutti i materiali secondo i canoni archivistici e renderli facilmente fruibili.

    Calcestruzzo (2020-in corso)© Nicola di Giorgio

    Nelle fotografie prodotte da te, focalizzate sul paesaggio della città di Palermo, tua città natale, sembra insita una certa concezione del paesaggio come la intendeva Ghirri, un qualcosa che ha a che fare anche con le proprie radici e la propria storia, qualcosa di molto personale. Cos’è per te il paesaggio che fotografi?

    Nel 2018 ho maturato un profondo interesse nei confronti della materia “Paesaggio/Fotografia”, soffermandomi in un primo momento all’interno di una bibliografia, sterminata, sulla definizione del termine “paesaggio”, contestualizzato in un considerevole numero di ambiti. 
Se il “paesaggio” – secondo il punto A dell’articolo 1 del capitolo I della Convenzione Europea del Paesaggio – si esplicita in: “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, la mia personale definizione può concludersi in “uno spazio che non può essere definito per sua stessa definizione. Il paesaggio, non solo in senso aulico, può essere tutto o niente”. Nel 2018 Guido Guidi – coinvolto in occasione del mio progetto di tesi: Il Paesaggio (non) esiste – in una intensa discussione su cos’è il paesaggio mi disse: «Il paesaggio va vissuto, non è solo da vedere, è da entraci dentro, devi essere tu paesaggio, devi essere tu quel sasso che rotola giù per la scarpata». Nella mia progettualità emerge costantemente la necessità intimistica della ricerca, non riduco l’incontro con il paesaggio in un confronto oggettivo e razionale. L’inconscio analitico innescato dalle mie peregrinazioni all’interno della storia delle cose, dei chi, dei che cosa, dei quando, dei dove e dei perché si miscelano, in dosi non sempre proporzionali, alla soggettività del mio passato con l’oggettività del mio presente.

    Calcestruzzo (2020-in corso)© Nicola di Giorgio

    Nella fotografia fatta alla Congregazione delle Suore Agostiniane nella Scuola Materna Santa Rita risuona, ad esempio, la poetica di un lavoro particolare di Ghirri, Identikit. Un paesaggio che valica il confine fisico di un territorio per indagare invece il suo paesaggio interiore dell’autore. Ci parli di quell’immagine?

    Quella fotografia è un ennesimo tentativo di riconoscermi, di ritrovarmi, per ricostituire – tramite lo spazio di una fotografia – un nuovo identikit. Mi trovo solo a confrontarmi con me stesso, per tentare di essere in grado di superarmi. Il mappamondo di latta è di fatto simbolo dell’essere presente in un determinato luogo, o di intervenire, di assistere a qualcosa. Il me infante, spettatore di quell’immagine capace di scavalcare i limiti terreni, esitava a rivolgere lo sguardo al futuro. La sensazione di aver preso parte alla storia, non vissuta, del mio paese me la sono sentita sempre addosso. Il fatto di averla costretta ad accogliermi, malgrado tutto, mi ha portato ad averne un grande rispetto, a usarla con grande parsimonia e soprattutto a condividerla.

    Calcestruzzo (2020-in corso)© Nicola di Giorgio

    Dal tuo progetto compare evidente una prospettiva non molto rosea per il futuro del paesaggio e del territorio italiano. Cosa ne pensi a riguardo?
    La generazione dei risparmiatori italiani con la prima casa in città, la seconda in montagna e la multiproprietà in riva al mare sta terminando il proprio percorso lavorativo o quello di vita. Il lascito testamentario alla quale la mia generazione, ineluttabilmente, deve occuparsi è ricco di innumerevoli beni di pregio. Tra queste le opere residenziali pubbliche di Giancarlo De Carlo, le opere di pubblica utilità di Pier Luigi Nervi, le opere di architettura religiosa di Giovanni Michelucci, che germinano e coesistono con il “Sacco di Palermo” (un’edilizia monolitica che ha sclerotizzato e necrotizzato il suolo e il sottosuolo della città), la “Rapallizzazione” (un fenomeno di urbanizzazione selvaggia e indiscriminata delle località turistiche a seguito del boom economico), e infine la cementificazione degli alvei dei fiumi all’interno delle città, ottenendo la separazione totale del fiume dalla falda, rendendo il fondo impermeabile. 
L’Italia è l’unico paese al mondo ad avere tra i principi fondamentali costituzionali quello della tutela del paesaggio (articolo 9), ma cosa significa tutelare il paesaggio oggi in Italia? Semplicemente cristallizzare. 
L’Italia è uno di quei paesi che non accetta, per sua stessa costituzione, il progresso e il cambiamento. 
In una buona parte delle nuove generazioni sto riscontrando, personalmente, una volontà scontante di riscatto nei confronti del nostro passato e del nostro presente. Una consapevolezza, dilagante, di subire la “sgrammaticatura” del paesaggio italiano.

    Calcestruzzo (2020-in corso)© Nicola di Giorgio

    Stai già lavorando per il nuovo progetto che esporrai al MAXXI il prossimo anno? Ci anticipi qualcosa?
    L’orgoglio di vincere la XIII edizione del Premio Graziadei per la Fotografia è indubbiamente amplificato se si considera l’interesse della giuria di premiare un progetto non concluso. Perciò sarebbe poco funzionale non sfruttare l’occasione – grazie anche all’impiego della borsa di studio offerta dello Studio legale Graziadei – per continuare il ragionamento sul calcestruzzo in altre città, realtà, istituzioni e archivi del nostro paese. Posso dire di aver avuto già l’occasione di consultare il fondo Pier Luigi Nervi e Sergio Musmeci all’interno del Centro Archivi del MAXXI, inoltre a breve avrò l’opportunità di accedere all’archivio dello CSAC di Parma. L’innovazione e la ricerca saranno gli elementi cardine dell’evoluzione del progetto Calcestruzzo, nella speranza di dialogare con un nuovissimo strumento di edificazione: le stampanti 3D per calcestruzzo.

     

    CALCESTRUZZO di Nicola Di Giorgio,
Premio Graziadei per la Fotografia 2022
    MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma
    fino all’11 settembre 2022
    Info: www.maxxi.art

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