Il 5 aprile del 1992 cominciava l’assedio di Sarajevo, uno dei più lunghi e feroci della storia moderna. Si stima che durante l’accerchiamento della capitale da parte dell’esercito serbo, guidato dal criminale di guerra Ratko Mladic, le vittime siano state più di 12 mila e i feriti oltre 50 mila, per la maggior parte civili. Nella guerra in Bosnia (1992-1995), culminata con alcuni episodi clamorosi come il massacro di Sbrebrenica e la distruzione del ponte di Mostar, sono morte circa 100 mila persone e oltre 2 milioni hanno dovuto lasciare la propria casa. Negli ultimi giorni, lungo le strade della capitale bosniaca, sono apparsi alcuni cartelli con i colori della bandiera ucraina e la scritta «Sarajevo undesrtands», in segno di solidarietà al popolo ucraino che oggi si trova assediato dall’esercito russo.
A trent’anni dall’inizio dell’assedio, la situazione in Bosnia Erzegovina non può ancora dirsi risolta, anzi rappresenta uno dei fronti più caldi del continente europeo. Il paese si trova infatti diviso in due entità statali: la Federazione croato-musulmana di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, con ques’ultima che nell’ultimo periodo ha creato istituzioni indipendenti e separate come esercito e magistratura, dando verosimilmente il via a un processo che potrebbe portare alla secessione e, quindi, a una nuova guerra.