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    Tommy Kha sfida i dogmi artistici

    Tommy Kha incentra la sua grammatica espressiva su vuoti e pieni iconografici. Il suo autoritratto striscia all’interno di ambientazioni quotidianamente irrazionali

    Tommy Kha incentra la sua grammatica espressiva su vuoti e pieni iconografici. Il suo autoritratto, frammentato ma pur sempre riconoscibile, striscia all’interno di ambientazioni quotidianamente irrazionali. Come un’entità spettrale, isolata nel suo vagabondaggio spaziale, Tommy si nasconde dietro appariscenti pezzi di arredamento per poi fondersi con altri copri e svanire all’ombra dell’assurdo. Allorché porzioni di volto, esili brandelli di arti, o ancora sagome increspate dalla luce sono gli unici indizi fattuali capaci di testimoniare un logorante processo di annichilimento. E, a loro volta, essi diventano il punto di ancoraggio introno al quale si struttura un perpetuo teatrino psicologico.

    “Mine, I”, Syracuse (2015) © Tommy Kha

    Qui l’autore decide infatti di mostrare, attraverso un quadro ironicamente patologico, le complessità delle sue relazioni dipingendosi come un ospite indesiderato nella vita di chi lo circonda. Una presenza scomoda che costringe famigliari, amici e amanti a fare i conti con la sua eccentricità destabilizzante. Pertanto, il progetto intitolato I’m only here to leave (2015-ongoing) tratteggia un vincolo intenzionale non lontano dalla poetica fontaniana secondo cui lo squarcio figurativo costituisce il punto di rottura necessario a costruire una dimensione “altra”. Allora il ritaglio cartaceo, oppure la maschera anatomica di Tommy rappresentano una matrice operativa eretta sulla sottrazione ideologica della sua stessa esistenza. Si tratta dunque di un concetto che, a primo acchito, potrebbe risultare hikikomoriano, quasi una sofferta missiva di distaccamento sociale.

    “Constellations VIII”, Miami (2017) © Tommy Kha

    Ma come ci ricordano le riflessioni filosofiche di Martin Heidegger sull'”esistenza autentica”: è abbracciando l’idea del proprio annientamento che l’uomo riconosce il vero significato della sua essenza. Per di più, questo dramma esistenziale proietta la figura indiscreta di Tommy Kha nel bacino febbrile dell’attivismo politico. Secondo l’autore nel linguaggio visuale risulta possibile inglobare un messaggio concettuale di rivoluzione. Ragion per cui attingere alla fotografia vernacolare si rivela, ancora una volta, la modalità ideale per innescare una riflessione collettiva. Soltanto che in questo caso specifico, l’inquisizione fotografica, si concentra sulla falla dogmatica dello statuto artistico nel mondo occidentale e le sue manchevolezze nei riguardi dell’identità queer.

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