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    Uomini e grattacieli: i ritratti di Rossano Ronci

    Dall'omaggio all'architettura milanese al futuro viaggio con Stewart Copeland, il fotografo riminese racconta la storia della sua carriera

    Fotografo di architettura, moda, storytelling, ritrattista: Rossano Ronci non guarda tanto al genere, quanto ai contenuti. La sua poetica si concentra sempre sulla ricerca dell’empatia, che si tratti di persone, oggetti o edifici. Dal suo incontro con Max Casacci fino ai ritratti di celebrità come Valentino Rossi e Federica Pellegrini, passando per il progetto sui grattacieli milanesi, il racconto della sua esperienza su Black Camera.

    Come ti sei avvicinato al mondo della fotografia?
    Ero davvero giovanissimo, avevo quindici anni e studiavo alla scuola del libro di Urbino, con indirizzo grafica pubblicitaria. Il mio primo lavoro è stato quello di assistente in uno studio fotografico di interior design, esperienza che mi ha dato l’opportunità di intraprendere la carriera artistica come fotografo freelance. Negli anni ho cominciato a dedicarmi alla fotografia di architettura per alcuni nomi di rilievo internazionale come Norman Foster e Zaha Hadid e di moda, collaborando con Vogue Gioiello e Vogue Pelle, che mi hanno dato la spinta per realizzare importanti progetti editoriali con Corraini Edizioni e Silvana Editoriale.

    Valentino Rossi © Rossano Ronci

    In questi anni, qual è stato il momento chiave per la tua crescita come artista?
    Sicuramente l’incontro con un art director che da fotografo commerciale mi ha reso un vero e proprio autore: Luca Stoppini di Vogue Italia e L’Uomo Vogue. Lavorare insieme a lui ha avuto un grandissimo impatto sulla mia produzione, mi ha fatto capire che le fotografie industriali e di architettura erano la mia essenza poetica e che avrei dovuto seguire quella strada. Stoppini è riuscito a indicarmi la strada da prendere per fare il salto di qualità e soprattutto per trovare il giusto equilibrio tra progetti personali e commerciali.

    Poi c’è stato il progetto sulle torri di Milano.
    Sì. Per me Milano è una città meravigliosa, soprattutto per la sua capacità di farsi amare alla follia e odiare profondamente allo stesso tempo. Personalmente sono molto grato a questa città, perché è il luogo che mi ha lanciato a livello professionale e mi ha dato l’opportunità di crescere come uomo e come fotografo. Il progetto sulle torri milanesi è un omaggio alla metropoli, un racconto personale che vuole mostrare una città che non sta mai ferma, che dal dopoguerra a oggi ha vissuto momenti di grande splendore e momenti di buio totale, riuscendo sempre a sorprendere per la sua capacità di rimettersi in piedi e rimboccarsi le maniche. Poi, c’è anche un lavoro di ricerca storica sul design e sull’architettura, perché Milano in questo senso è stata una scuola per tutto il mondo. Ispirato dalle immagini di Gabriele Basilico e supportato da Giovanna Calvenzi, ho cercato di raccontare gli edifici così come sono, con una fotografia morbida, silenziosa, pulita, dove si intravede la città la sullo sfondo.

    Max Casacci © Rossano Ronci

    Nell’arco della tua carriera sei sempre stato molto vicino al mondo dello spettacolo. Che rapporto hai con la musica?
    Sono un batterista per passione, ho cominciato a suonare da ragazzino e ancora oggi vado avanti, quindi la musica è una parte della mia anima. L’incontro tra fotografia e musica è avvenuto quando ho conosciuto Max Casacci agli inizi degli anni Novanta, quando suonava con gli Africa Unite: ho deciso di raccontare lui come artista e come persona, il suo percorso che l’ha portato a fondare i Subsonica, la sua attività di produttore. L’ho seguito nella sua città – Torino – nei quartieri e nei luoghi di culto come i Murazzi e sono riuscito a capire fino in fondo come Max sia arrivato a sperimentare certi testi e certe sonorità nella sua produzione creativa. Anche questo è stato un momento cruciale per la mia carriera: ho capito che non mi interessava documentare, ma raccontare una storia ben precisa in tutte le sue sfaccettature. Il progetto, durato un anno e mezzo, è stato pubblicato su un volume di pregio da Silvana Editoriale, curato da Denis Curti.

    Nel corso degli anni hai scattato tanti ritratti a personaggi dello sport e dell’intrattenimento. Com’è stato fotografarli?
    Il ritratto è una parte importante del mio lavoro, mi ha di fotografare applicando conoscenze tecniche e di linguaggio in maniera molto più pratica e veloce rispetto ad altri ambiti. Se devo fotografare un palazzo, ho tutto il tempo che voglio per cercare le condizioni ideali; se devo fotografare uno sportivo per un servizio, ho pochissimi minuti a disposizione e spesso ho poca libertà. È un altro tipo di approccio, ma l’obiettivo per me è sempre lo stesso: cercare di raccontare la persona e non il personaggio, senza rinunciare alla mia cifra stilistica. A volte ho avuto anche delle difficoltà, altre volte è stato più semplice, dipende sempre dalla persona che ti trovi di fronte. Mi porto nel cuore il lavoro insieme a Federica Pellegrini, una ragazza molto simpatica e disponibile, una grande professionista.

    Federica Pellegrini © Rossano Ronci

    Hai qualche progetto in cantiere?
    Ora ho in programma un lavoro per il magazine Musica Jazz, per la rubrica che si chiama Circus, dove viene presentato un personaggio importante della musica: a giugno del 2019, ho ritratto Stewart Copeland dei Police, che è il mio batterista di riferimento, e ho avuto l’opportunità di seguirlo durante il suo tour europeo. Adesso stiamo lavorando a un volume su questo percorso insieme.

     

    Alessandro Curti
    Nato a Milano nel 1991, giornalista appassionato di arte contemporanea e di fotografia in tutte le sue espressioni. Socio di STILL Fotografia, con sede a Milano in via Zamenhof 11. Docente in Storia della Fotografia all’interno del corso di Fashion Design allo IED di Milano. Gia collaboratore e redattore per le riviste mensili IL FOTOGRAFO e N Photography (Sprea Editori) dal 2015 al 2019 e per Rolling Stone Italia, Lampoon e The Pitch.

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